Passano ancora le auto in corso Roma.
Mentre attraverso sulle strisce pedonali, mi par di sentire la mano forte di papà che impugna la mia, piccola, e quasi la stritola per l’apprensione.
Attraversare quella strada da sola era stata una conquista, il sigillo alla mia autonomia. E a Levanto ne ho sempre goduta molto più di quanta ne avessi in città perché qui non ci sono pericoli.
Il mare subito fondo? Sì, una volta era così, prima che le correnti fossero costrette da costruzioni umane a cambiare giro e depositare sabbia, che periodicamente va tolta per consentire ai battelli di attraccare alla Pietra e ripartire per le Cinque Terre.
Che c’era di pericoloso in un fondale di sassi, un’acqua cristallina, un dolcissimo bagnino che insegnava ai bambini a nuotare? Nulla, bastava un comportamento prudente.
Io poi, con il mio brevetto di “delfino”, meritato al corso di nuoto della mia scuola a Milano e cucito sul costume, non avevo paura di niente. Mi sentivo un delfino vero e proprio e stavo in acqua finché la pelle delle dita si raggrinziva.
La sensazione di libertà totale che mi dà il bagno in questo golfo è una pozione magica di sicurezza, mistero, scoperta, certezza, continuità. Basta che mi ci bagni i piedi ed è come strofinare la lampada di Aladino: la piacevolezza è tale da esaudire ogni desiderio anche inespresso.
Neppure l’acqua di Lozari, in Corsica, o quella della baia davanti alla chiesetta di San Silverio a Vignola in Sardegna, a me tanto care e tanto più limpide e ancora ricche nei fondali, mi hanno mai regalato questa sensazione.
Dagli scogli davanti ai bagni Nettuno avevo imparato a tuffarmi di testa. Mi aveva insegnato Giorgio, un ex alunno di papà che trascorreva qualche giorno di vacanza all’albergo Stella Maris e stava spesso con noi. Alunno prediletto, per me un fratello maggiore, eravamo in grande confidenza nonostante una bella differenza di età (tredici anni…) e lui aveva una pazienza!
Oggi, con i capelli bianchi, qualche inevitabile dolore articolare, non mi posso più tuffare dagli scogli davanti ai Nettuno, ma solo perché quegli scogli non ci sono più. Mi accontento – si fa per dire – di lanciarmi in acqua dalla spiaggetta di poppa del mio barchino. Impiego una frazione di secondo a predisporre i muscoli al tuffo, ma basta per ricordare gli scogli davanti ai Nettuno, il mio maestro di tuffi e papà, al quale dicevo: – Guarda e dimmi com’è.
Il suo commento era più importante di una medaglia.